Con uno sguardo critico sul lavoro di 27 fotografi di generazioni diverse attivi negli ultimi trent’anni, Il vento e il melograno indaga le grandi aree di sperimentazione fotografica israeliana. Come spiega nella prefazione Yuval BEATON, curatore capo dell’Ashdod Art Museum, “la fotografia, nelle sue molteplici articolazioni, si configura ormai come una sorta di barometro artistico che rispecchia la realtà della nostra vita”. Attraverso gli scatti dei fotografi presi in esame, Maurizio G. DE BONIS e Orith YOUDOVICH, che hanno scritto a quattro mani il libro, hanno raccontato la loro ricerca a cui va il merito di aver dato un contribuito allo sviluppo della fotografia in Israele. Uno sguardo complesso sulle varietà di stili e poetiche, oltrepassando gli stessi confini nazionali.

TRA FOTOGRAFIA ARTISTICA E DOCUMENTARIA

Partendo dalle esperienze emblematiche di Deganit BEREST e Simcha SHIRMAN, quest’ultimo noto per aver rappresentato la shoah in una dialettica tra sé e il paesaggio che lo circonda (Polish Landscape, Auschwitz-Birkenau, 1998), gli autori tracciano un percorso che passa dalla fotografia artistica a quella documentaria senza mai perdere il filo del discorso. In questo panorama non mancano nomi noti a livello internazionale come Adi Nes, famoso per i suoi scatti in cui sceglie come tema il popolo israeliano fatto di eroi della strada e soldati (Soldiers, 2000). Un capitolo è poi dedicato alle artiste del 1963 “ovvero lo sguardo e il femminile” in cui gli autori analizzano il lavoro di Naomi LESHEM e Lee YANOR, dove il corpo si presenta spesso in un conflitto tra estetismo ed erotismo. Tra i 27 nomi vanno citati Ilit Azoulay che intorno alla questione dell’uso artistico dell’oggetto ha costruito il suo intero percorso espressivo; Uri GERSHUNI, figlio dello storico pittore Moshe, concentrato sulla rappresentazione della figura umana; Gaston Zvi ICKOWICZ, interessato alla rappresentazione del “luogo” e alla visione estetica del suo cambiamento. Un altro capitolo è dedicato al ritratto e qui non poteva mancare il lavoro di Vardi KAHANA, conosciuta per la serie fotografica intitolata One Family (1992-2007). Il volume si chiude con un capitolo dedicato agli artisti che operano all’estero, testimoniando la particolare propensione a confrontarsi con altre culture e altri processi sociali e produttivi.

TRE ANNI DI LAVORO

Il vento e il melograno è un progetto che ha impegnato gli autori per quasi tre anni, portandoli a lavorare sul campo, visitando studi e gallerie, ma anche musei, accademie, istituti e fondazioni. Da tutto questo si evince come la fotografia abbia trovato costantemente ospitalità all’interno delle sale espositive e interesse da parte della critica e del pubblico. Un volume dunque interessante, a partire dal titolo. In tal senso spiegano gli autori:

Volevamo che riassumesse poeticamente la nostra esperienza. Un’immagine mentale, una sensazione, che potesse rappresentare pienamente il nostro rapporto con l’arte israeliana e la cultura di un Paese che abbiamo cercato di comprendere fino in fondo. In tal senso, ci è venuto in mente ciò che ci capitò una notte nel pieno del deserto del Neghev. Eravamo nel buio più totale seduti davanti alla casetta dove eravamo ospiti. Di fronte a noi solo delle luci lontanissime e un albero di melograno pieno di frutti che percepivamo nell’oscurità. A un certo punto si è alzato un vento caldo che si posava pesantemente sulla nostra pelle. È stata una sensazione unica, onirica, che ancora ricordiamo e che secondo noi descrive al di là di ogni sterile accademismo critico la nostra esperienza di studiosi sul campo in cerca non solo dell’arte israeliana ma della cultura (complessa) di un intero Paese.

Il libro è stato presentato al MAXXI alla presenza del segretario generale del museo, Pietro Barrera e dell’addetto culturale dell’Ambasciata d’Israele, Eldad Golan. Oltre agli autori erano presenti anche l’editore Claudio Corrivetti e la fotografa Orit RAFF che ha raccontato il suo percorso espressivo iniziato nella seconda metà degli anni Novanta, e a cui è dedicata una parte del volume.

©  Giorgia Calò / Artribune