L’inarrestabile scorrere del tempo si identifica in luoghi, frammenti e memoria. Attraverso immagini in bianco e nero di spazi anonimi che vogliono restare tali. E’ la poetica dell’italo-israeliana Orith Youdovich, in mostra da Gallerati a Roma fino al 30 maggio 2012.

Carlo Gallerati presenta il lavoro di Orith Youdovich (Tel Aviv, vive a Roma), fotografa e curatrice israeliana ma italiana d’adozione. In mostra dieci fotografie che riflettono sull’oscurità intesa come ciò che appare nascosto, sconosciuto, sfuggente. Soggetto degli scatti sono le rovine, frammenti di realtà trasfigurati dallo scorrere del tempo e dal sovrapporsi di storie; luoghi indefiniti che l’autrice rende irriconoscibili per evitare un immediato richiamo con la loro storia. Traspare così la volontà di instaurare un legame intimo fra spettatore e immagine, che empaticamente trasmetta le sensazioni e i sentimenti provati dall’autrice nel momento dello scatto, e che crei un parallelo con il passato di chi osserva.

Non c’è progettualità nelle opere di Youdovich: il frammento, il luogo e la memoria sono elementi ai quali l’autrice si lega istintivamente, come in un richiamo ancestrale scaturito dall’impatto con il paesaggio. Ne risulta un percorso unitario di riflessione circa le relazioni profonde che intercorrono tra Youdovich e gli spazi da lei immortalati, che simbolicamente rimandano alla più generale riflessione sul rapporto tra uomo e natura.
Le opere, tutte senza titolo e realizzate tra il 2010 e il 2011, seguono una logica espositiva che si articola dalla trasformazione di un manufatto in rovina fino alla sua totale sparizione, con un richiamo di romantica memoria per cui l’uomo sarà sempre sopraffatto dalla forza del tempo.

© Serena Silvestrini / Artribune